Diario di scuola, libro molto carino, divertente e riflessivo. Nonostante non sia una fan del Signor Malaussène, adoro i saggi di Pennac (Come un romanzo è tutt'oggi uno dei miei libri preferiti). Questa mia lettura è capitata proprio a fagiolo, come si suol dire, visti i vari argomenti affrontati nel corso di informatica, e ho infatti poi notato che è anche segnalato ne “I miei libri” del prof (coincidenza puramente casuale, lo giuro!).
Diario di scuola è uno pseudo monologo in cui l'autore si concentra sui “somari” scandagliando e analizzando l'istituzione scolastica, senza tralasciare gli argomenti annessi quali famiglia e società. Pennac ci fa fare un viaggio nella sua infanzia di alunno somaro, passando poi alla sua carriera di insegnante e romanziere; con simpatia tira fuori problemi molto discussi riguardo i professori e la scuola, i giovani d'oggi e la loro istruzione.
Cosa c'entra con il corso di informatica? Innanzi tutto il già discusso valore del contesto, nel libro lo svisceramento del “ci” e del “questo” che definiscono la materia, l'ora di lezione, la persona, l'essere in un determinato momento e luogo. Il tutto è magari visto da un'angolatura diversa, ma il succo è lo stesso: se non c'è determinazione delle cose (inteso come contesto appunto), non ci può essere apprendimento, né crescita o conoscenza. Si passa poi al confronto diretto tra studente e professore, indispensabile, senza il quale non si può tramandare il sapere o costruire cultura, fino ad arrivare alla partecipazione, spinta dal puro “desiderio stesso del sapere”, che approda nella concretezza di un'azione, nell'impegno di voler esserci e far bene. Troviamo quindi il professor Pennac costantemente impegnato nel conoscere e aiutare i propri alunni, personalmente e individualmente, coinvolgendo, scherzando a volte e insegnando al meglio con la forza della passione. Dall'altra parte si può dire che c'è il forum degli studenti di medicina, twitter, i vari documenti condivisi, e anche il seminario, metodi moderni (che si possono sicuramente migliorare ma che per ora sono molto incoraggianti) che tentano di insinuarsi nell'insegnamento “classico”; dal mio punto di vista sono quel coinvolgimento e voglia di fare e sapere che uno si aspetta dall'università, luogo che dovrebbe essere l'apice della conoscenza e l'eccellenza dell'insegnamento. Dico dovrebbe perchè fra i professori che si sono conosciuti in questi primi mesi, sono stati veramente pochi (avanza una mano per contarli) quelli che in qualche modo rispecchiano e incarnano l'idea nobile di università (chiaramente è un modesto parere personale). C'è stato poi questo seminario, definito amichevolmente “gag d'informatica”, che ha smosso un po' le acque, ci ha fatto divertire e riflettere, senza farci addormentare o angosciare: è quella voglia di fare di cui parlavo, è partecipazione culturale concreta e tangibile. Il dire forte e chiaro “Ci sono” va oltre il somaro di Pennac, e va oltre la scuola, si insinua nella vita di tutti i giorni, nelle azioni che rendono il mondo migliore, plasma quei medici che verranno e che mi auguro faranno di tutto per dare un sonoro calcio a quel piedistallo che tanto odio e che mi ha fatto saltare di proposito le lezioni di biologia! Tutto ciò, è vero, riassumibile nel semplice “I care”. Onore e tanto di cappello ai ragazzi di “M'illumino d'immenso”, ed anche un doveroso inchino ad Arf per la pensata.
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