mercoledì 15 luglio 2015

Oversharing

Qualche mese fa ho conosciuto Roberto, un piccolo imprenditore che, alla soglia della pensione, ha deciso di comprarsi un casolare sperduto nel nulla per coltivare ulivi e far pascolare qualche pecora. Niente internet, niente televisore, solo un vecchio giradischi e una voluminosa collezione di vinili a riempire i suoi momenti liberi. Mi ha spiegato come fosse terrorizzato da questi tempi moderni, dal fatto che niente è più privato, personale, intimo. Voleva che gli spiegassi che cosa passa per la testa dei ragazzi e delle ragazze della mia generazione che se ne vanno a raccontare al mondo intero quello che hanno mangiato per cena (con foto allegata), e soprattutto come mai agli altri possa interessare saperlo. Mi ha chiesto quando è stato che la gente ha smesso di lottare per la propria indipendenza e libertà. 

L’oversharing, questa nuova corrente culturale che è cresciuta intorno a me e con la quale sono cresciuta, credo non differisca poi molto dalle correnti del passato, ha semplicemente la fortuna e la disgrazia di essere plasmata da una fetta di popolazione più vasta rispetto a quella dell’Illuminismo o del Romanticismo. Creiamo e condividiamo volontariamente la nostra identità, la lanciamo nell’etere con un click e la lasciamo lì in bella vista così che tutti la possano ammirare. Per sempre. Perché come ha detto qualcuno in rete, on the internet nothing never dies. L’oversharing è il nostro elisir di lunga vita, la nostra pietra filosofale, il nostro Grande Inquisitore. Siamo noi stessi che annulliamo la vita privata e ne siamo anche soddisfatti; inventatemi un altro social e mi iscrivo pure a quello. Rimaniamo basiti dallo scoprire che qualcuno non è su Facebook; vabbè avrai Twitter allora, no? wahtssapp? come sarebbe a dire che non hai un indirizzo e-mail? quindi praticamente non esisti, contento te. Invece con l’oversharing anche se uno muore la digital afterlife rimane, tutti lasciano il proprio segno nel mondo, tutti lo possono migliorare il mondo (basta solo usare il filtro giusto). Ci sta che sorgano nuovi interrogativi: potrò passare in eredità ai miei figli gli acquisti sull’AppleStore? verrà qualcuno a lasciare un messaggio o una gif ricordo nel cimitero virtuale? fra qualche secolo citeranno il mio blog in qualche articolo di antropologia? Situazioni che fino anche solo un’ora fa erano alquanto orwelliane, te le ritrovi in mano con il gadget appena uscito, nell’ultima app, nel nuovo meme. Non c’è più distinzione tra realtà e cyberspazio, il cyberspazio è reale, quasi tutta la nostra vita ne fa parte, e nel cyberspazio gironzoliamo ubriachi dalle informazioni di tutti, anche le nostre. L’account di Facebook è come un passaporto, ti permette di viaggiare ovunque, lo colleghi a Twitter e Instagram e se usi una nuova applicazione o un nuovo programma ti compare l’opzione “Accedi con Facebook”, così eviti anche quei dieci secondi in più per creare l’ennesimo profilo. Non importa sapere che c’è qualcuno che conserva ogni tua parola, ogni tua foto, ogni tuo messaggio, ci fa piacere che quel qualcuno conservi le nostre identità, pur manipolandole per i suoi interessi; ci basta solo che ci sia lasciata l’illusione della libertà di pensare, di creare e di condividere quello che si vuole. Usa i miei cookie, spammami, rubami il cvv della carta di credito, riempimi di elettrodi e sviluppa la nuova frontiera del neuromarketing, basta che mi metti un like, così cresco nei trend e magari è la pubblicità stessa che mi paga per lasciarle qualche pixel sulla pagina del mio profilo. 

Detto così sembra che non ne esca niente di buono da questo oversharing, ma come in tutte le cose ci sono due facce della medaglia. E quindi se condivido l’infinitesima foto del gatto che si distende sui libri e non mi fa studiare, posso anche condividere quello che studio. Certo, è più comodo avere un libro fisico, me lo sfoglio e me lo sottolineo, profuma di quel profumo che hanno i libri nuovi, e poi fa bella figura nella libreria, però guarda se ti vuoi approfondire un paio di argomenti ti passo il pdf del tomo di medicina interna, non stare a comprarlo, viene 200€. L’altro giorno il treno si è fermato, come al solito, e ha fatto un’ora e mezzo di ritardo; per fortuna avevo il tablet, ho scaricato questo ebook, un bel romanzo, te lo consiglio, se vuoi te lo metto su Dropbox. Ciao io esco, tanto il capitolo di biologia che devo studiare lo hanno aggiunto su un podcast di Oxford, me lo ascolto in palestra. Ma te l’hai capito cosa ha spiegato la prof di matematica? mah insomma, però ti giro questo link, è un tizio che studia all’MTI che ha fatto un canale YouTube con le ripetizioni di matematica, ci sta che se hai domande ti risponde anche in chat. Non c’è niente di nuovo in tv, soliti programmi, solite parole, solita Italia; se vuoi ascoltare qualche idea originale meglio se ti carichi in streaming una conferenza TED, sono gratis, risparmi anche sul canone. 

Ci lamentiamo di questa tecnologia che ha preso il sopravvento nelle nostre vite, ma allo stesso tempo non ne possiamo fare più a meno. C’è chi cento anni fa considerava l’elettricità una diavoleria e chi oggi considera internet la rovina dell’umanità: non c’è più privacy, siamo controllati 24h su 24, siamo in una gabbia cibernetica. Ma rivogliamo veramente la nostra libertà? Quella “libertà che gli uomini, nella semplicità e nella innata intemperanza loro, non possono neppur concepire, che essi temono e fuggono, giacché nulla mai è stato per l’uomo e per la società umana più intollerabile della libertà” (I fratelli Karamazov). O forse vogliamo solo l’illusione di una scelta del genere, così da poter dare ragione a Dan Ariely e dimostrare che non siamo così razionali come crediamo quando prendiamo le nostre decisioni. 

Roberto si è arreso, dice che è vecchio ormai e non ha voglia di combattere contro la tecnologia spia. Mi ha confessato che a volte, mentre lavora nell’oliveto, alza la testa, fa una linguaccia e mostra il dito medio al cielo. Dice che se esiste un Dio, di certo lo sa che non ce l’ha con Lui, l’insulto è per quel satellite che scatta fotografie alla sua vita senza averne il permesso.